Arcipelago di Einar

L’arcipelago è situato a sud-est delle Scogliere di Ellenroth a 10 giorni di navigazione da Evanstone (Ducato di Ellenroth), a 14 giorni da Tir Mermaid (Contea di Syrenton) e a 17 giorni dal Molo dei Mercanti (Contea di Londilandia).

E’ formato da 18 isole, 7 dei quali abbastanza grandi per essere abitabili.

Secondo le leggende nei tempi antichi ci furono molte creature strane che camminavano sulla terra. Molti di loro si facevano riconoscere come il “Popolo dei Grigi“, una rappresentazione leggendaria di entità potenti ed ostili alla natura. Unico compito della loro lunga esistenza quello di portare la vita verso un’assenza di vita dove il caos governa incontrastabile e la natura corrotta e malsana contamina ed espelle ogni tentativo delle forze del bene. I Grigi avevano abitudini inconsuete ed inquietanti. Crearono con l’uso di magia ibridi di altre creature, dei mostri che avrebbero favorito ed accelerato il passaggio del mondo verso la direzione voluta da loro.

A questo popolo leggendario vengono attribuite le antiche rovine nell’arcipelago di Einar: 7 isole vengono indicate come sede dei loro esperimenti, dei loro tentativi ad influenzare il corso della vita.

I Grigi erano un popolo di incantatori. Potenti maghi insuperabili, con la loro arte si sono uguagliati agli Dei. Il mondo era troppo caotico senza regole e cosi provarono ad aggiustarlo a loro misura. Fecero degli “esperimenti genetici” crearono nuove razze incrociando quelle già esistenti e passarono il limite crogiolandosi nella loro onniscienza e diventando Corruttori del Creato. Si dedicarono alla soddisfazione dei loro impulsi piuttosto malvagi perché tramite la sofferenza si ha l’esperienza di un vero Dio, sono diventati dediti alla tortura, violenza…..caos…… Lasciarono la loro forma corporea per scelta perché troppo limitativa e poi non si seppe più niente di loro. Nella loro terra di origine l’Arcipelago di Einar sono rimasti però dei segni del loro passaggio. Gli abitanti di oggi, pirati, Rinnegati non sono che persone di questo mondo che presero possesso di quei posti e che in qualche caso riuscirono a impadronirsi di qualche segreto immondo dei Grigi. Nelle isole disabitate hanno lasciato indietro i loro mostri che si sono evoluti. I Grigi ciononostante non è detto che si sono estinti magari stanno là a guardare il degrado o vagano per le stelle incasinando ancora di più la vita ovunque nel mondo conosciuto. A noi sono arrivate le loro leggende.

….la loro storia diventò leggenda e la loro memoria passò nell’ombra ed è quello che loro hanno sempre voluto…tramare e mai esporsi….mai dare conferma della loro sopravvivenza e mai negare…….anche se qualche rara volta manifestano ed usano i propri accoliti per delle ragioni che nemmeno a quelli poveri sventurati sono date a sapere.

Dall’alto si possono scorgere interminabili distese di prati verdi che si interrompono improvvisamente nell’azzurro del mare tempestoso; maestose cascate che compaiono inaspettatamente fra le valli e che si tuffano nell’oceano, fra imponenti scogliere e tenebrosi faraglioni, dove dimorano migliaia di uccelli marini, il cui stridio interrompe il silenzio della solitudine, inframmezzato unicamente dall’incessante sibilo del vento. E’ attraversata da un grande fiume che si perde nel suo interno. Dal mare aperto si intraveda la foce d’un largo fiume cupo, le cui rive sono muraglie di mistero ammassate di giungla. Le acque del fiume, dal nome dimenticato, scorrono scure e fangose, veleno per gli esseri viventi. Qualche volta si possono scorgere delle forme striscianti che scivolano nella sue profondità ma di solito è impossibile vedere sotto la sua superficie. Navigabile dapprima curva verso l’interno facendo perdere di vista il mare aperto, di corrente lenta ma pieno di banchi di sabbie sui quali riposano strani rettili. Rumori misteriosi e sinistri, passi furtivi e il bagliore di occhi ostili accompagna al viaggio verso l’interno dell’isola. Dalla giungla si alza di continuo una cacofonia di ruggiti, ululati e grida.

Le navi malcapitate perdono di solito qualche uomo nel passaggio per colpa di un scuro tronco flessuoso, un serpente gigantesco con delle spire iridescente che sprofonda nel fiume spira dopo spira frustando l’acqua fino a farla diventare schiuma insanguinata nella quale rettile e uomo spariscono insieme.

La giungla:

Dai verdi rami arcuati i rampicanti pendono come pitoni. Il sottobosco è molto fitto e l’aria è impregnata di un profumo intenso e dolciastro. Ci sono innumerevoli cespugli di forme e colori curiosi. Animali “esotici” che si incontrano nella giungla:

– Un gigantesco ragno nero largo come un maiale, otto zampe spesse e pelose guidano quel corpo da orco con un’ andatura veloce. 4 occhi infernali e brillanti di una orribile intelligenza. Zanne che sbavano veleno di una morta rapida e silenziosa.

– Un mostro alato. Una cosa che assomiglia a un uccello gigantesco, un pipistrello mostruoso con delle ali enormi. Una forma gigantesca, simile a quella umana che si muove su gambe curve e tozze, enormi braccia deformi, mani con degli artigli neri, occhi iniettati di sangue. Il demone è nutrito con della carne fresca e caccia come i falchi, scende in picchiata e allora nessuna preda può sfuggire agli artigli dei suoi piedi e al becco della sua bocca.

– Un drago-rettile. Muso allungato che sporge sopra mascelle terrificanti dotati di file di denti aguzzi. Occhi gialli come quelli dei serpenti con una fissità nello sguardo che ipnotizza. Un lungo collo con piccoli aculei, appuntiti e duri, sostiene la grande testa. Tutto il corpo ricoperto da squame posa su 4 zampe incredibilmente piccole (specialmente quelle di dietro, sembra in contatto con la terra) ma dotate di muscoli potenti per mantenere in posizione e in movimento quel corpo massiccio. Il tutto completato da una lunga coda (più di 2 metri) che viene usata sia come sostegno per il corpo ma anche come mezzo di distruzione visto la sua straordinaria flessibilità di movimento.

In quest’isola non c’è che la morte per chi osa avventurarsi.

L’isola da lontano ha un profilo scuro, brumoso e inaccessibile. Si erge come una parete continua a mano a mano che uno si avvicina. L’isola è tutta roccia, sabbia nera ed alberi. Il sole non si vede facilmente ed è sempre pallido per l’esalazioni del vulcano. Ogni cosa è coperta da ombre e avvolta in una mezza luce. Soffia sempre una leggere brezza calda dall’oceano che porta l’odore di zolfo segno dalla presenza del vulcano. Altre volte l’odore è appena percepibile e altre molto più intenso. Tutta l’isola è una trappola mortale. Paludi, giungla, deserto, fuoco, sembra che il “popolo dei Grigi” si sia trovato nel suo maggior splendore occupandosi di quest’isola e dell’arcipelago in generale. La costa è formata da propaggini rocciose con piccole insenature e diverse scogliere scabrose. La spiaggia finisce in una breve chiazza di erba alta che a sua volta cede il posto a un bosco di alberi imponenti. I tronchi si innalzano come pilastri verso il cielo formando un muro a perdita d’occhio. Dalla spiaggia inoltrandosi nella foresta, mentre lunghi canaloni dove la lava si è indurita e frantumata in pezzi scivolosi si alterano con burroni pieni di cespugli spinosi e vallate coperte da pesanti nuvole di nebbia grigi, si sale verso la montagna di Arianrhod a sud-est o si prosegue attraversando la palude di Nuada a sud. Gli antichi alberi sono coperti di muschio e rampicanti.

A Nord

La giungla Alrick è presente ovunque nell’isola ma sopratutto copre la sua estremità nord. Fitta e impenetrabile si estende in un groviglio di verde fino alle rive dell’oceano. Il terreno è umido, morbido e cedevole mentre la lava a tratti diventa friabile e smossa. La parte nord è colpita (di solito) da una pioggia battente, monsoni che inondano tutto, formando vaste cascate che precipitano dalle scogliere alte centinaia di metri. Quanto i temporali battono l’acqua alta entra fino all’interno riversandosi nel lago Flann. La giungla ovunque la si incontri è molto fitta e arriva fino all’oceano. Attraverso le nuvole e la nebbia si possono vedere vallate e colline tutte ricoperte da una foresta impenetrabile, da una giungla fitta e soffocante. Anche qua un fetore riempie l’aria, l’odore dello zolfo proveniente dal sottosuolo. Dalla giungla si alzano spesso urla e grida di strane creature, cose mostruose mai viste prima. Suoni gutturali degli esseri scuri che stanno in agguato nella giungla, nelle rive del lago, nella palude.

Animali comuni che si trovano nella giungla: serpenti che si spostano tra la giungla e il fiume e ragni molti dei quali velenosi, gatti selvatici dotati di aculei velenosi che li lanciano uccidendo all’istante, uccelli rapaci con il becco appuntito capaci di alzare in aria anche un animale di grossa taglia, i “Rusgrave” piante dai colori brillanti e dalle forme strane che prendono al laccio bloccando tutto ciò che gli arriva vicino e bevono il loro sangue mentre le vittime sono ancora in vita, strani animali dotati di denti aguzzi (come cinghiali) e con una velocità straordinaria nonostante la loro molle non indifferente
i “Buttevant” animali che si muovono sempre in gruppo. Specie di lupi (con muscoli potenziati e torace più ampio) che si sono evoluti cosi nei loro occhi si coglie un barlume di intelligenza, dotati di capacità di linguaggio elementare, sono in grado di elaborare strategie di attacco fulmineo o aspettare giorni interi prima di cogliere il momento giusto per agire. Sono capaci di camminare su due piedi (posizione semi eretta) anche se preferiscono usare le 4 zampe per correre più velocemente. Si racconta che sono stati mutati dalla magia dei Grigi e sfuggiti poi al loro controllo. Sembrano una abominevole miscuglio di lupo umanoide.

A Ovest

L’isola è arida come un deserto, vera e propria distesa di lava solidificata tranne alcuni cespugli dai fiori vivaci sparsi qua e là. Nient’altro che terreno aperto, caldo, secco, arido. Ma non priva di vita. Il deserto di Glen è popolato da diverse specie di “creature”. Le 3 principali sono:

– i “cavalieri del deserto”, chiamati cosi perché sembrano degli umani a cavallo ma in realtà non sono altro che miraggi, esseri sospesi tra materia e spirito, che fanno cadere i sfortunati in una specie di stato ipnotico attirandoli nelle loro tane per usarli come cibo. Si nutrono della carne viva per riappropriarsi del loro corpo materiale
– la “bocca”, esseri con forma di verme di lunghezza sconosciuta visto che solo la loro bocca con due serie di denti affilatissimi esce dal terreno per inghiottire il malcapitato
– piccoli roditori i “Cork” che non avendo denti e per sfuggire ai grossi predatori hanno sviluppato la capacità di espellere veleno, mortale e senza antidoto, sono questi ultimi che essendo numerosi sono la minaccia maggiore perché silenziosi e basta un loro tocco, anche involontario visto che si trovano quasi sempre al filo delle superficie ma sottoterra, per uccidere.

A Sud-Ovest

Le paludi di Nuada fanno seguito alla foresta. La palude è un monotono, piatto scintillio di umidità che si stende tra masse d’erba alta e alberi che spuntano dalle acque acquitrinose. Erbacce intrecciate con rade distese di vecchi alberi morenti. Tronchi massicci ricurvi inghiottiti quasi del tutto dal fango. Ci sono sabbie mobili che possono inghiottire qualsiasi essere in un attimo. Dove la palude incontra la giungla e penetra ad essa il terreno è un mosaico composto da sabbie mobili, paludi e fango.

Animali che si trovano nella palude:

“Nad” esseri ciechi, con delle antenne per percepire anche il più piccolo movimento, che camminano con mille piccoli piedi sugli alberi formando delle ragnatele enormi dietro di loro alle quali prendono le loro prede (assomigliano di più ai mille piedi ma sono grandi come una pecora). Le parti dei loro corpi si articolano come gigantesche molle che gli permettono di oscillare liberamente in ogni direzione e passare cosi da un ramo all’altro. . La palude è la loro sede, il loro luogo di caccia personale. Infatti non è strano vedere pendere tra i rami e il terreno sottostante delle grosse ragnatele spesse e appiccicose dalle quali è impossibile sfuggire una volta catturati, solo una spada ben affilata potrebbe tagliare le ragnatele.

A Sud e a Est

L’isola è una massa di strane formazioni rocciose e di spiagge dalla sabbia nera dove la costa incontra l’oceano prima di innalzarsi e sparire nella giungla, nelle paludi e nella nebbia che scende da vulcano.

A Sud-Est

Il canion di Ballyclough fa parte di una parete montuosa che attraversa tutta l’estremità meridionale dell’isola. Qui finisce la palude di Nuada e al di là esce una valle attraversata dal fiume Flann che si perde nel suo percorso lungo il Ballyclough. L’imponente parete rocciosa si trova a metà strada sulla salita verso il lago Flann. La sua superficie è ricoperta da una fitta vegetazione di cespugli e rampicanti. E’ percorribile a piedi ma c’è il rischio che il fiume gonfio dalle acque del nord straripa nella valle e quindi anche nel canion stesso.

A Est

Il vulcano Arianrhod è una montagna alta un miliaio di metri in minaccia di eruzione che incombe enorme e intrattabile sul resto dell’isola. Innalza la sua bocca frastagliata verso il cielo, la sua gola emana vapore, mentre le pendici scendono in una spessa coltre di nebbia e di cenere, scomparendo per centinaia di metri finché non riappaiono sopra il canion di Ballyclough. Dalle viscere della terra si sente un continuo brontolio, un accumulo di pressione che alla fine si scarica sul versante est dell’isola. La lava apre cunicoli e gallerie attraverso le crepe e le fenditure delle sue pareti precipitando nelle acque dell’oceano bruciando nel loro passaggio la giungla che sale nei suoi pendii.

Il vulcano è anche esso ricoperto dalla la giungla di Alrick di un verde intenso, di pareti che formano innumerevoli stanze che danno una sull’altra, di corridoi che si avvolgono e si intersecano tra di loro minacciando di soffocare ogni essere vivente. I rami si intrecciano in alto formando un soffitto che impedisce il passaggio della luce solare ma non quello della nebbia vulcanica.

Al Centro dell’isola

ben chiuso da occhi indiscreti un piccolo lago, il lago Flann che a sua volta nel mezzo presenta un piccolo pezzo di terra dove si ergono alcuni edifici. Il lago è protetto dal vulcano essendosi formato in una conca delle montagna. Da esso parte l’omonimo fiume che dopo aver raccolto le acque dal nord tramite correnti sotterranee esce in superficie dall’altra parte dell’isola.

Animali – demoni del lago:

Intorno al lago vivono i “Shanavest” (i bianchi) forme evanescenti di esseri senza forma fatti di magia pura. La loro presenza è più una sensazione raccapricciante e viscida di un assenza di vita. Intorno a loro creano il vuoto risucchiando la vita da tutti gli esseri che capitano vicino alle loro tane. Vampiri della linfa vitale, immortali con un’unica limitazione la presenza d’acqua; senza non possono esistere nella loro forma materiale. Sono inoffensivi di giorno, poco più che sensazioni, presagi, paure, voci nell’aria, volti nella nebbia cercando di trattenere il più a lungo possibile le loro vittime destinate finché non cala la notte solo allora riescono ad assumere una forma liquefatta. L’unica cosa che si riesce a vedere di loro sono miriadi di piccole bocche a ventosa che si attaccano e succhiano via la linfa vitale. Sono particolarmente attratti dalla magia.

Il fiume Flann ha un continuo cambio di acqua con il lago, con il quale comunica sottoterra, scorrendo nel canion di Ballyclough, formato dalla parere della montagna, e attraversando la giungla di Alrick, a sud-est, si versa nell’oceano. È un fiume tumultuoso con acque veloci che formano dei vortici. Ci sono comunque alcuni stretti passaggi. La sua riva verso la giungla in molti punti cade a strapiombo su acque nere, intasate dal fango e dalle macerie, talmente torbide che non si riesce a distinguere ciò che sta sotto.

Animali del fiume:

Serpenti, di lunghezza da 5 a 18 metri, ricoperti di scaglie e con denti affilatissimi. Sono capaci di afferrare qualsiasi essere si trovi nel loro raggio d’azione. Possono benissimo sopravvivere nella giungla se al fiume scarseggia il cibo.

L’isola di Cristallo

I suoi occhi vedevano solo lei, le sue labbra pronunciavano solo il suo nome, il suo cuore era nulla senza di lei… Per tutto il lungo ed estenuante tragitto il pensiero dell’amata Arianna, l’aveva sostenuto e mantenuto in vita; la follia di un viaggio da solo era niente paragonata a ciò che sarebbe stato disposto a fare per salvare il suo amore.

Finalmente, quando le forze e la speranza erano allo stremo, scorse in lontananza il luminescente profilo dell’isola di Cristallo. A stento riuscì a scendere dalla piccola e malconcia imbarcazione, e solo una volta sbarcato sulla riva, comprese lo splendore di ciò che gli si mostrava dinanzi.

La luce del sole, battendo sulle vitree rocce che componevano l’unico paesaggio di Tòrshavn, si rifletteva su di esse tanto da dare l’illusione che la candida isola fosse composta da infinite gemme preziose, come diamanti che brillano distesi al caldo sole di Agosto. Qual era l’orrido e malvagio pericolo che incombeva su quel luogo, tale da impedire a chiunque vi arrivasse di tornare indietro, cosa uccideva ogni suo visitatore?

Senza timore della morte, ma con l’unico desiderio di ritrovare la bella Arianna, il giovane elfo si mosse veloce, se pur esausto, attraverso le brillanti rocce: pianure, valli, colline, persino una montagna al centro dell’isola; tutto era ricoperto da quel lucente cristallo, ed il paesaggio si mostrava immenso come un deserto di ghiaccio.

“ La salverò, e ucciderò il demone che l’ha imprigionata.” Continuava a ripetersi Hadrim mentre vagava disorientato tra le alture di Tòrshavn. Gli istanti trascorrevano eterni, come mille vite di dolore e tormento; ogni momento in cui la immaginava sola e spaventata, il suo cuore si spezzava e piangeva. Corse ancora, ed ancora; niente stanchezza, nessun ripensamento… ed infine, ancora prima di quanto avesse immaginato, la vide davanti a se: terrorizzata, ma sempre bellissima. Quando fu ad un passo da lei gl’occhi erano ormai colmi di lacrime.

“ Mia adorata Arianna.” Lei, esausta, gli sorrise e respirò profondamente, ormai desta da quel terribile incubo. Hadrim spezzò le catene che le stringevano i delicati polsi e raccolse, come un prezioso fiore, la sua Arianna.

“ Torniamo a casa, amor mio.” Sussurrò lei con l’ultimo respiro prima di svenire. Di lì a poco l’elfo avrebbe ringraziato il suo dio per aver spento la coscienza del suo amore, impedendole così di vivere l’orrore che si scatenò appena il giovane intraprese il cammino verso l’imbarcazione. Dalla cima della montagna un bagliore rosso illuminò spaventosamente il cielo: una devastante colata di lava invase, veloce e inesorabile, ogni angolo dell’isola. Niente riuscì a salvarli… Hadrim guardava il mare quando il fuoco lo raggiunse, e stringeva amorevole tra le braccia la sua Arianna.

Nessuno può lasciare Tòrshavn l’isola di Cristallo, questo è il volere della montagna. La lava lentamente si spense, il rosso del fuoco divenne ancora cristallo e la calma tornò. Almeno ora Hadrim e Arianna sono insieme.

Rifugio dei pirati e di Shadoq.

Il vecchio muoveva a malapena le labbra mentre raccontava la sua straordinaria e terribile storia, cosicché le parole divenivano quasi un sussurro, come il vento che soffia nelle notti d’autunno. Eppure lo sguardo esterrefatto, nonostante i tanti anni trascorsi; e il tremore delle sue mani, che in quei momenti sicuramente non era dovuto ai lunghi anni che il suo dio gli aveva concesso; rendevano, fin nelle prime frasi, quel sussurro forte come una terrificante tempesta nei Mari del Sud. Ed è proprio del mare che il vecchio iniziò a parlare.

“La pioggia battente delle ore appena trascorse, si era trasformata in sottili e letali lame di ghiaccio e feriva senza pietà le nostre mani, ormai stanche e mortificate dalle tante cime tirate nel vano tentativo di salvare la nostra nave. La spossatezza e lo sconforto avevano, a quel punto, preso il sopravvento sul coraggio e la fierezza di tutti noi. E alla fine i miei giovani occhi si chiusero, invocando la clemenza degli dei, mentre lasciavo il mio corpo, un tempo forte e vigoroso, nelle loro mani. Non mi è dato sapere quante ore trascorsero e cosa successe mentre ero inerme e sconfitto; ma quando, con mio stupore, riaprii gl’occhi e riconobbi sul mio volto il calore ristoratore del sole e il fresco e sicuro sapore della sabbia sulle mie labbra; scioccamente invocai e venerai quegli stessi dei per la grazia che mi avevano concesso… mai avrei potuto immaginare che, invece, la punizione più terribile era nascosta proprio in quell’isola meravigliosa. Grandi e verdi palme venivano accarezzate dal leggero soffio del cielo e il richiamo soave di dolci creature festeggiava la vita di quella terra così bella… e così letale.”

Il racconto si interruppe, almeno per chi, con le orecchie attente, sedeva accanto all’anziano narratore; invece nei suoi occhi e nel suo cuore i ricordi correvano ormai senza briglie né freni.

“Ma allora non potevo sapere cosa era celato in tanta grazia”. Riprese con voce ancor più flebile.

“Recuperate le forze e la speranza, mi incamminai attraverso i naturali sentieri che quel paesaggio mi offriva. Non molto distante dalla spiaggia incontrai le acque di una cristallina sorgente che scendevano a cascata in un lago dai colori vivaci; grazie ad esse ritrovai le forze per raccogliere dolci frutti dai generosi alberi, che ormai per il mio sguardo erano divenuti fratelli adorati e preziosi”.

Risalii, nelle ore successive, carico di tutta la fiducia che una mente giovane e sciocca potesse generare, il tenue pendio che si spingeva all’interno dell’isola. Fu su quella collina, quando anche le ultime luci del giorno iniziavano ad abbandonare lo smeraldo della vegetazione, che l’incredulità del mio cuore raggiunse il suo culmine. Un sottile ma significativo rivolo di fumo danzava, se pur distante, sul versante opposto del promontorio.

“L’isola è abitata, sono ormai salvo pensai ingenuamente, mentre le gambe, ancora tremanti per il recente ricordo del naufragio, si mossero rapide, come mai prima d’allora, verso la discesa, verso l’illusoria salvezza, verso l’incubo mendacemente travestito da sogno. Corsi, senza fiato, senza pensare, senza paura verso la salvezza; ed allora, solo allora purtroppo, capii dove ero naufragato: la leggendaria isola di Vagar, il rifugio dei Pirati, il regno di Shadoq il turchese. Alcuni uomini si accorsero di me, ancora prima che io potessi accorgermi di chi fossero loro in realtà. Fui deriso e malmenato senza motivo, non una parola per chiarirsi, per raccontare la mia storia, non una giustificazione mi avrebbe potuto salvare dalla loro violenza, dal loro sadico divertimento”.

Qualcuno intorno al vecchio sgranò gl’occhi, altri iniziarono a bisbigliare; nessuno poteva essere sopravvissuto all’isola di Vagar, o almeno nessuno poteva essere stato lasciato in vita da Shadoq il flagello dei Mari del Sud. L’anziano non si accorse nemmeno dei commenti dei suoi ascoltatori, proseguì il suo racconto come se lo stesse vivendo una seconda volta.

“Purtroppo non mi uccisero allora, evitandomi così gl’anni terribili che sarebbero seguiti. Invece dopo avermi ridotto in fin di vita, ma ancora cosciente, mi condussero prima dal loro capo e poi direttamente da Shadoq, colui che morì due volte. Attraversammo tutta la città; mi trascinavano con indifferenza, come se fossi un sacco da caricare su una della loro navi; nel mio stato di semicoscienza potevo osservare ciò che mi circondava come davanti ad un dipinto, e sebbene il sangue mi coprisse parte della visuale, potevo ammirare i grandi e lussuosi palazzi che costeggiavano la strada. Colori, sfarzo, ricchezza; tutti i tesori conquistati con la violenza e l’odio avevano contribuito alla creazione della città del Diavolo, come la chiamavano i corsari. Il mio primo viaggio attraverso Vagar si concluse al porto, dove attraccata alla banchina centrale splendeva una signora nave. Non era molto grande, a tre alberi, ma il colore bianco come l’avorio e la splendida polena dalle sembianze di un’elfa che guardava il mare dalla prua, e dava il nome alla nave di Dama Bianca; rendevano quell’imbarcazione un vero gioiello”.

“Sulla testa dell’elfa sedeva comodamente un ragazzo che diffondeva, distratto, una dolce melodia con il suo flauto traverso; mi vide passare sul pontile trascinato da tre pirati, e senza nemmeno allontanare lo strumento dalle labbra, mi sorrise amichevolmente, come se neanche vedesse le profonde ferite sul mio corpo. Più tardi scoprii che il suo nome era Almiron, il più giovane membro della terribile ciurma di Shadoq il turchese.

Arrivammo davanti al ponte che conduceva sulla Dama Bianca; un uomo snello e alto era intento a scrutare le acque dall’albero maestro, appena notò la nostra presenza si lasciò cadere spaventosamente dalla cima più alta e, come se danzasse aggrappato ad una sottile corda, toccò il pavimento della nave senza batter ciglio e sparì sotto coperta.

Lui era Guybrush e la sua arte era la spada.

Mentre attendevamo l’arrivo del capitano, una fanciulla posò il suo sguardo su di me; era affacciata alla poppa della Dama Bianca, si voltò nella mia direzione e mi guardò intensamente; in quel momento stranamente mi sentii pervaso da un senso di tenerezza… quello sguardo fu ciò che mi confortò e mi tenne in vita per tutti i lunghi anni che trascorsi in quell’incubo. Solo gl’occhi tristi di Surami, la sacerdotessa, uno dei più fedeli pirati di Shadoq, mi aiutò a mantenere un sottile e delicato filo di speranza nel cuore.

Per anni mi domandai il perché una donna capace di tali buoni sentimenti fosse al seguito di un essere demoniaco come il flagello dei Mari del Sud… ma mai ottenni risposta.

In fine la porta della nave si aprì e dietro Guybrush comparve un giovane dallo sguardo freddo e crudele; Jorakin, questo era il suo nome; il Lupo o il Segugio, così lo chiamavano. Temuto per la sua straordinaria e terribile abilità con gli stocchi; sulla Dama Bianca e sull’intera isola di Vagar era rispettato e ammirato come vice capitano: il braccio destro di Shadoq.

E dietro di lui in fine apparve. Lunghi capelli scuri, lineamenti delicati e sguardo di ghiaccio, Shadoq il turchese appariva davanti a me con tutta la grazia e l’eleganza della razza elfica a cui per metà apparteneva, ma mostrava insieme l’ombra terribile dell’essere che in lui albergava.

Poi, con le ultime forze prima di svenire, vidi l’orrore peggiore: dal bordo leggermente piegato di uno dei suoi guanti intravidi lo scempio di un corpo putrefatto e maledetto; il braccio del capitano Shadoq faceva già parte del mondo dei Morti, ed era proprio da esso che veniva emanava la crudeltà più devastante.

Mi risvegliai qualche ora dopo nella stiva di una nave, con le caviglie incatenate; da allora iniziarono a costringermi a compiere i lavori più duri ed umili, continuavano a picchiarmi ed a schernirmi per puro divertimento… ma mai fui toccato da un pirata della Dama Bianca, mai torturato da uno di loro, mai costretto o deriso. Anche durante i combattimenti e gli sciacallaggi, a cui assistetti negli anni successivi come mozzo di una delle navi della flotta di Shadoq, mai uno dei cinque della ciurma Bianca uccise per pura crudeltà; attaccavano fisicamente solo in risposta, uccidevano solo se strettamente necessario; non si abbassavano mai a fare il lavoro sporco.

Erano come angeli… maledetti si, ma pur sempre angeli… e questo era ciò che spaventava maggiormente i loro avversari.

Gl’anni trascorsero lunghi e terribili; le violenze su di me e su tanti innocenti non finivano mai. Ma alcuni periodi, in cui la Dama Bianca partiva da sola per mare, divenivano per il mio cuore i più difficili; la lontananza degli sguardi compassionevoli di Surami facevano sgretolare quel filo sottile di speranza, e le aggressioni e gli abusi sembravano più dolorosi ed insopportabili.”

L’uomo riprese un attimo il fiato e sorseggiò lentamente un boccale di idromele, prima di ricominciare a parlare.

“Al ritorno da uno di questi viaggi, un pomeriggio in cui ero stato picchiato a sangue per aver fatto cadere una mela; la sacerdotessa venne da me. Raccolse delicatamente il mio viso tra le sue mani e mi guardò ancora più intensamente di quanto non avesse mai fatto; allora mi accorsi della sua giovinezza, ancora fertile come tanti anni prima, come durante il nostro primo incontro, e della mia, ormai scomparsa: i cinque della Dama Bianca non invecchiavano…

I miei pensieri furono interrotti dalle sue preghiere; invocava la sua divinità in una lingua a me sconosciuta e miracolosamente le mie ferite furono rimarginate e le mie forze ristabilite. Mi guardò per qualche istante ancora e poi, senza aggiungere altre parole, si allontanò. Di lì a pochi giorni fui preso e buttato su una zattera, senza viveri né mappe; sciolsero le cime e mi lasciarono alla deriva.Prima di allontanarmi osservai un’ultima volta la Dama Bianca; sono certo che i cinque erano lì, sul ponte, ad assistere alla mia partenza… anche lei era lì, e come pochi giorni prima pregava. Poi un vento divino si alzò ed una fitta nebbia mi avvolse. Così dopo poche ore approdai incredulo sulle rive del vostro mare. Ed ora per volere del terribile Shadoq e della ciurma della Dama Bianca, sono qui a raccontare a chiunque voglia sentire, gli orrori dell’isola di Vagar, il rifugio dei Pirati, il regno di Shadoq il turchese.”

Le persone sedute accanto al vecchio rimasero in silenzio, nessuno aveva più il coraggio di parlare.

L’isola di Bran è ricoperta di sabbia bianca finissima cosi sottile ed abbagliante ad accecare un uomo in pochi minuti. Se si è abbastanza “stupidi” o “coraggiosi” per inoltrarsi dopo 1 giorno e mezzo di cammino si incontra la città delle leggende.

Ci sono storie di una città gigantesca nel centro dell’isola fatta di una pietra verde quasi nera che non si taglia, non si scalfisse e che rispende nel sole come un diamante. Si parla di torri gigantesche e mura intraviste da lontano, miraggi del sole incandescente nel deserto.

Un muro alto ma non impossibile da superare divide la città propria dal resto dell’isola. Una porta di due massicci battenti, alta il doppio di un uomo, fatta di legname spesso e rivestita di placche rinforzate negava l’accesso al passato ma adesso ci sono punti nei quali il legno marcio ha aperto dei buchi dove uno potrebbe passare senza problemi.

Dentro il muro la sabbia del deserto ha preso il sopravento e si è intrufolata fra pietre di edifici in disfacimento e fra pavimentazioni rotte che un tempo erano strade, ampie piazze e corti spaziose. Nello spazio centrale si distingue un edificio a forma di piramide.

Un’ampia pavimentazione di lastre incrinate fiancheggiata da colonne cadute conduce alla torre e di fronte ad essa c’è un massiccio altare di pietra nera dove si vedono ancora i canali con il sangue delle vittime sacrificati rappreso.

Ci sono ombre in agguato tra i muri pericolanti mentre uno si avvicina alla Piramide passando per le vie tortuose si può incontrare:

il Verme

Una grossa massa scivolosa, grigia e molliccia. Rumore di risucchio accompagna il suo peculiare modo ci camminare. Da questa massa biancastra e molle esce un suono che cresce sino a diventare un indescrivibile brontolio e un sibilo paralizzante. Dalla parte che deve trovarsi la sua testa (ma non è molto facile distinguere se ha una testa o se una massa unica) escono un paio di sporgenze simili a corni, lunghe almeno 2 metri e un secondo paio, più piccolo, è posto più in basso. Le lunghe corna si chinano da una parte e dall’altra e nell’estremità portano degli occhi. Si muove velocemente. Un fetido puzzo li fluttua intorno. Un getto liquido bollente corroborante parte verso ogni direzione dalle corna inferiori.

La Piramide:

Porta robusta situata entro un arco di pietra e fatta di tronchi massicci tenuti insieme da fasce di rame risplendenti. Una volta entrati (la porta si apre con una forte spinta senza il minimo rumore, infatti regna il silenzio) si vedono:

– Levigati muri di pietra nera;

– a terra uno spesso strato di polvere.

– Molti pipistrelli appesi a ai muri.

– Statue di aspetto terrificante collocate in nicchie sui due lati del corridoio buio che si apre a entrambi i lati.

– Alla fine del lungo corridoio la Sala del Trono. Seggi e divani dello stesso materiale dei muri ricoperti da ornamenti metallici e pietre preziose e nel centro davanti a un elaborato tavolo di mogano, apparecchiato con vasi da vino e ricche vivande, un trono alto dello stesso sempre materiale verdastro.

– Oltre la Sala del Trono si apre un’altra porta che dà in un vasto corridoio illuminato da grosse candele lungo i muri. Tra l’una e l’atra nicchia diverse aperture che portano in stanze riccamente arredate. I muri sono ricoperti di tendaggi di velluto nero intramezzati da scudi e panoplie di ottima fattura. Qua e là ci sono le statue di bizzarri esseri, per metà demoni per metà animali. Ricchi arazzi e cuscini di seta, divani ricoperti di pellicce sparsi qua e là. Stanze debolmente illuminate da una luce che traspariva dai tendaggi. Ampi specchi sui muri tra le cortine di velluto, divani di seta, sedie di ebano e avorio e varie porte chiuse da tende che conducono ad altre stanze ugualmente lussuose. E in ogni stanza dentro un vaso d’oro un grappolo di boccioli d’oro che sfiorandoli appena lasciano cadere una polvere grigia che invade la camera. Il polline del Loto Grigio, una polvere che induce a un’orgia di follia e di morte. Un solo respiro è abbastanza per scatenare scene di isterismo, violenza con tutti i mezzi a disposizione non solo armi ma anche denti, unghie.

– Ogni stanza un essere umano sdraiato sul letto vivo ma in sonno profondo. Uomini e donne di bellezza superba con un respiro appena percepibile ma con le guance rosse segno di salute perfetta.

– Tra queste mura dorate 2 solo esseri vigili, 2 esseri che si contendono la vita e la sopravivenza, che si combattono per il terreno di caccia: la città stessa, e per la fonte del loro nutrimento: la popolazione addormentata.

– Il primo l’uomo-elefante (nudo): corpo di uomo liscio senza traccia di pelo di colore blu, la testa troppo grande rispetto al corpo, senza attributi umani. Larghe orecchie svasate, proboscide arrotondata, bianche zanne ai suoi lati, occhi di topazio grandi e limpidi.

– Il secondo l’uomo-scimmia (in una tunica scarlatta): Il corpo massiccio, ampio e incurvato, l’atteggiamento simile a quello di un uomo. Una faccia ricoperta di peli neri tra i quali due piccoli occhi rossi porcini guardano con un’espressione di cupidigia. Due grandi narici, le labbra grandi che si chiudono su enormi zanne gialle. Le mani e le gambe curvi, deformi e coperti anche esso di una fitta peluria nera. Corpo massiccio, ampio e incurvato. Faccia completamente bestiale.

Questi due esseri ogni tanto svegliano qualcuno della popolazione per banchettare. Mangiano solo carne viva cosi le loro vittime vengono poste all’altare davanti alla piramide e mentre il loro sangue viene fatto defluire lentamente loro si cibano in piatti d’oro e si dissetano in bicchieri di cristallo.

Rifugio dei pirati-feccia della terra

I pirati appartengono tutti alla stessa razza, di colore nero, nomadi che usano le scorrerie e gli assalti su tutte le navi che passano dalla loro parte per sopravivere. Questo quasi “popolo” vive di pesca e dei pochi frutti che dà la terra scarsamente coltivata. Insieme a loro nel paese ci sono le loro donne e i loro figli.

Rovine di quartieri poveri, tuguri costruiti con mattoni di fango. Il paese non è altro che un dedalo di vicoli bui, cortili chiusi e strade tortuose, suoni furtivi e odori mefitici. Lungo le strade tortuose e sconnesse, con i loro mucchi di rifiuti e le pozangare fangose, avanzano barcollando chiassosi ubriachi che urlano a squarciagola. Le lame scintillano nell’ombra dove si alzano stridule risate femminili e rumori di risse e di duelli. La luce delle torce filtra sinistra dalle finestre rotte e dalle ampie porte spalancate: provenienti da queste porte, il puzzo di vino e di corpi sporchi e sudati, il rumore dei boccali e dei pugni calati fragorosamente sui rozzi tavoli, e i brani di canzoni oscene colpiscono il passante come un pugno in pieno. La specializzazioni più quotate sono quelle di tagliagole, rapitori di bambini e di giovani donne, ladri dalle dita veloci.

Tutti gli abitanti dell’isola, uomini e donne, fanno parte degli equipaggi delle loro navi. Un molo fatiscente nel quale si trovano diverse piccole imbarcazioni e 2 galee a loro disposizione:

La galea più piccola dal nome Mouse è leggera, robusta con una sola vela. 10 rematori schiavi, 5 per lato, la spingono lungo i numerosi canali delle isole adiacenti. Non ci sono cabine e tutti dormono insieme nel ponte. I schiavi ovviamente non vengono mai slegati ed è normale che muoiono nel loro posto per venire subito sostituiti. Altri 10 uomini costituiscono l’equipaggio insieme al capitano Tito. Il capitano di corporatura bassa e tarchiata, è impulsivo e calcolatore, non meno crudele del capo, vorrebbe sostituirlo nella conduzione del loro clan.
L’altra, una galea snella e affilata di nome Sangre con una bandiera rossa come il sangue versato dalle loro vittime. 40 schiavi ai remi la spingono velocemente nell’acqua mentre l’equipaggio di colore scuro e seminudi ornati di piume usano cantare e battere le loro lance ai scudi prima dell’arrembaggio. Il capitano Shem, che è anche il capo di tutta la comunità, è un uomo di età indefinibile con un squarcio che va dallo zigomo destro fino all’angolo della bocca, riflessivo e capace di una crudeltà gratuita, è sempre pronto a vanificare ogni tentativo di ribellione, ed è l’indiscusso capo della ciurma come definisce il suo seguito.

L’ ISOLA DEL DRAGO

Situata ancora più lotano dalla terra ferma, ad una settimana ulteriore di navigazione dall’Arcipelago di Einar, si può incontrare l’Isola del Drago.
Le leggende narrano che l’isola, il cui aspetto ricalca perfettamente quello di un drago, si a tutti gli effetti lo scheletro oramai pietrificato di un antico progenitore dei Draghi, che trovò la morte in quel punto. Il suo corpo si sarebbe lentamente tramutato in pietra e poi nell’arco degli anni sarebbe satato colonizzato da diversi tipi di creature. L’isola pare essere completamente diabitata. Molte navi hanno trovato la loro fine negli irti scogli che la formano e gli uomini la morte, per questo motivo c’è chi ancora sostiene che sull’isola viva un discendente dei Draghi, una creatura capace di mutare forma da uomo a Drago.