Tutto è perduto \ L’orda

Tutto è perduto \ L’orda, Tiass Fall, 1 marzo / 1 aprile I anno Dominio dei Draghi, dalla Trama Dominio dei Draghi

Autore : Ailis

Quando arrivò in vista del villaggio menzionato da Ivar si fermò. L’odore della carne bruciata unito a quello dei tetti dati alle fiamme tentò di rivoltarle lo stomaco anche se era digiuna dal giorno prima. Si controllò e scese dal macigno percorrendo in fretta quel centinaio di metri che la separavano dai ruderi anneriti.
C’era silenzio interno a lei. Aveva l’impressione che l’intero villaggio si fosse congelato nel tempo adesso che era vuoto e privo di vita, un tetro quadro dipinto da un pittore malato di mente o uno dei molti incubi che affliggevano la Valle intera ormai da un anno. Ci si può abituare agli incubi, lei lo aveva fatto e si era modellata all’esigenza per sopravvivere ma in quel villaggio devastato da una crudeltà priva di scopo, Ailis non vedeva un incubo qualsiasi. Era il suo incubo.
Se non avesse avuto premura di trovarlo si sarebbe fermata a purificare l’aria mortifera di quel posto, si limitò invece a sospingere via le spire di fumo con un gesto della mano perché le impedivano di vedere con chiarezza cosa la circondava. C’era rimasto ben poco di razionale nella sua mente, quello che le rimaneva era il senso di colpa per non averlo raggiunto prima e quel desiderio di vendetta utile solo a se stessa.
Si trovava in uno spazio largo delimitato dalle poche abitazioni che probabilmente usavano come pizzale. Da qui arrivava la puzza di carne bruciata. Erano i corpi anneriti gettati a terra in un’inquietante disegno a raggera e non le ci volle molto per riconoscerne l’artefice. L’Abisso aveva una logica nella sua follia primordiale, l’energia prendeva una forma come per i fiocchi di neve ma con molta meno grazia e meno poesia. Le tremavano le gambe mentre si dirigeva all’interno di quello schema di morte ma quando arrivò al centro scoprì di essere sola.
Dapprima non riuscì a capire e rimase immobile come una statua, frastornata dalla possibilità che lui fosse ancora in vita o agonizzante poco lontano da lei, si ritrovò a chiamarlo un’unica volta per istinto, ascoltando il tremore della propria voce violare quello che ormai era un cimitero a cielo aperto.
Nessuno le rispose ma si alzò il vento facendo tintinnare qualcosa sul pietrisco del terreno, abbassare lo sguardo era un riflesso condizionato perché il passato e il presente si erano fusi ed in ognuno di questi c’era lui. C’erano loro. Raccolse la pietra rossa da terra con una lentezza esasperante riconoscendola, era il gioiello che brillava sull’elsa di Necross. Impossibile sbagliarsi aveva tenuto in mano quella spada tante volte quanto lui tra le braccia. Eppure quella spada non c’era più. Era andata smarrita. La follia la stava forse piegando? La spiegazione doveva essere un’altra e si sforzò di stringere a se il controllo tanto quanto la pietra nel pugno. Si guardò intorno. Lui non avrebbe potuto fare tutto questo senza Necross. La spada era sempre stata con lui in tutti quegli anni e gliel’aveva nascosta per non farla intromettere in quella che era la sua missione… in altre circostanze la scoperta l’avrebbe fatta montare su tutte le furie ma si ritrovò invece a sorridere mentre una lacrima la tradì fuggendo dall’angolo dell’occhio. Tutto era perduto.
Le note cupe di un corno suonavano la chiamata vibrando nell’aria del mattino. Con un verso simile a quello di un ringhio, Ailis si voltò verso il richiamo e affinò il senso dell’olfatto percependo l’immagine chiara dell’orda prossima a mettersi in marcia. Erano diretti alla Valle, sarebbero scesi nel Sibylland aggiungendo una maledizione su un’altra. Strinse la pietra con tanta forza da sentirsi tagliarle il palmo della mano e si incamminò. Non era mossa dal desiderio di preservare la Valle da un altro male, nemmeno ci pensava. Quello che voleva era punirli per non averle lasciato la pietà di avere un corpo da seppellire.
L’orda si era rimessa in marcia ed il chiasso che facevano ricordava un branco di maiali affamati chiuso in un porcile in vista del pasto. Era composta per lo più da uomini, sempre se così si potevano definire, quelli che avevano sembianze umane vestivano pelli di animali e si distinguevano dai minotauri perché più bassi e meno imponenti, le differenze terminavano qui se si tralasciavano i grossi musi deformi degli uomini-bestia perchè la puzza li accumunava tutti, arrivava pungente fino a lei che si era fermata al limitare della pineta per osservare con odio l’orda. Erano ancora in numero considerevole nonostante le perdite subite al villaggio ma era chiaro anche per lei che se ne intendeva poco di eserciti, che non avevano la capacità di organizzarsi o non avevano l’intelligenza per farlo. Sembravano quello che suggeriva il naso: un grande branco di animali.
Ailis non aveva un piano e nemmeno una strategia, tutto ciò che voleva era mietere il suo raccolto di vite per riempire quel vuoto che la stava inghiottendo di più ad ogni minuto che cadeva. Scese la fiancata pietrosa tra gli arbusti in fretta guadagnando il fondo stretto del canalone, si sarebbe a breve trovata di fronte all’orda che a parlare di strategie sarebbe stata la scelta più sbagliata da fare perché scartava il vantaggio della sorpresa. Guidata dall’istinto e dalla cieca sete di vendetta desiderava che la guardassero bene per portarla come ricordo negli inferi che meritavano.
Quando il rumore dell’orda le riempì le orecchie e ne sentì la vibrazione nella terra sotto i piedi, si tolse il mantello e lo lasciò cadere dietro ad un masso insieme alla sacca. Prese dalla tasca dei pantaloni la pietra e la portò alle labbra baciandola in una preghiera che non aveva parole e nemmeno Dei ad ascoltarla. La strinse nella mano e andò incontro all’orda chiamando l’energia del suo elemento a liberare la propria e questa non tardò a darle soddisfazione. Rabbrividì di piacere sentendosela strisciare lungo la schiena, stringerle le spalle e fondersi con lei spezzando quell’equilibrio che sosteneva per far torto al Maestro.
Si passò la lingua sulle labbra assaporando l’umidità delle nuvole che attraversavano il canalone, guardando con occhi d’ambra la prima fila degli uomini che apparivano nella foschia. Andò loro incontro. Man mano che si avvicinava sentiva risate e battute poco felici nel commentare la presenza di un’insignificante donna con epiteti coloriti e privi di qualsiasi fantasia. Ma quando la donna fu a meno di cento metri da loro, chi la derideva perse coraggio nell’apostrofarla perché questa non accennava a scappare e continuava ad avanzare con una calma che spiazzò molti.
Quando fu a meno di trenta metri, la notizia dell’insolita presenza raggiunse l’orecchio del capo e le venne lanciata contro un’ascia che cambiò misteriosamente direzione andandosi a conficcare nel petto dell’uomo-bestia che stava caricando il braccio per lanciarle un giavellotto. Questo si accasciò a terra colpito a morte senza nemmeno avere il tempo per gridare, la sua vista suscitò la reazione di quelli che avevano assistito alla scena perché attaccarono la Signora dei Fulmini tutti insieme.
L’accerchiarono in un battito di ciglio e fecero piovere su di lei ogni sorta di arma ma i loro colpi non riuscivano a raggiungerla. Qualcosa la proteggeva e ce l’aveva tutt’intorno, brillava di guizzi azzurri ad ogni colpo e bruciava braccia e gambe di chi si avvicinava per prenderla a calci.
La Signora dei Fulmini manteneva la barriera alzata e continuava ad avanzare oltrepassando la prima linea di uomini, lo sguardo d’ambra era fisso davanti mentre salmodiava brevi e secche parole. Camminava semplicemente, senza guardare in faccia nessuno o badare alla miriade di colpi che si susseguivano e incrinavano la sua protezione. Sarebbe andata in frantumi certo, ma quando si spezzerà l’avrebbe fatto esattamente dove voleva trovarsi, al centro dell’orda per gettare nella tomba più bestie possibili. Questo era il suo intento, ma penetrata nell’orda di duecento metri un minotauro la caricò a testa bassa entrando con le corna nella barriera di una spanna. Fu costretta a fermarsi e scambiò uno sguardo privo di emozione con quello furibondo del minotauro che tentava di liberarsi o di avanzare. Probabilmente entrambe le cose.
La barriera stava crollando e lei doveva accontentarsi di dove si trovava.
Varoquax aveva seguito la Maestra di nascosto, almeno fino a dove aveva potuto. Non avrebbe mai potuto impedirle di cercare la sua vendetta, ma poteva premurarsi che ne uscisse con il minor numero di ammaccature possibili.
Già, ma come? Ailis si era infilata in una situazione senza uscita. Aveva agito in modo superficiale e parimenti omicida, se anche fosse morta in quell’impresa di certo l’Orda non avrebbe più potuto fregiarsi di quel titolo. Probabilmente sarebbero rimasti pochi amici da osteria.
L’apprendista accantono i pensieri ironici e cercò di pensare. Farle prendere tempo? Ma come? Avrebbe potuto giocare facilmente con quelle menti deboli e superstiziose. Avrebbe fatto suonare i corni di un esercito alle loro spalle e li avrebbe dispersi.
Un bel sogno.
Sospirò arreso alla comprensione dell’unico reale modo per darle una mano, che non l’avrebbe fatto sentire inetto o in colpa
Uomini e bestie colmavano come formiche impazzite quella valle, non vi era una reale via di fuga, se non una vittoria, o un riconoscimento di forza da parte di quei bruti. Altre speranze vane.
Varoquax discese il crinale mentre Ailis affondava con la propria magia nello schieramento nemico.
Foschia e polvere iniziarono a mescolarsi ed i primi corpo esanimi a cadere a terra.
Ricordava Oberian, la sua prima battaglia. Condotta al sicuro su di una collina, lontano dalla prima linea. Ora sarebbe stato diverso, si sarebbe sporcato le mani. Avrebbe dovuto combattere per la propria vita.
Si sentì incredibilmente calmo a quel pensiero, lo reputò innaturale e pretenzioso da parte sua. Sicuramente si sarebbe pentito di ogni scelta fatta fino a quel momento.
Era a pochi passi da Ailis, e la vide, mentre un minotauro mastodontico tentava di sfondare le sue difese.
Fu in quel momento che sciolse l’illusione e si mostrò per ciò che era, passando accanto all’animale infisso nella barriera di Ailis. L’immagine del bruto si dissolse come nebbia al vento rivelando l’uomo che piantò con forza il proprio stiletto nel collo del minotauro indifeso recidendo di netto arterie e midollo, uccidendolo in un modo così pietoso che probabilmente quell’essere non meritava.
“Credo che tu abbia bisogno di me” disse Varoquax rivolto alla sua Maestra “E soprattutto devi ancora spiegarmi il tuo concetto di amore” sorrise indicando con lo sguardo la sfera che aveva nascosto.
La barriera che proteggeva Ailis erano una ragnatela di crepe azzurre prossima a cadere in frantumi come un vetro sottile. Doveva farsi bastare quei pochi attimi che le restavano per trovare il canale mistico che le permetteva di diventare il tramite tra il cielo e la terra. Il tempo non le dava pensiero sebbene era consapevole del rischio che stava correndo. Forte dal conoscere se stessa e di una buona dose di spregiudicatezza, era pronta a gettare in aria la moneta per sfidare ancora una volta il destino in nome di sentimenti inconciliabili: l’amore che mai avrebbe ammesso nemmeno a se stessa e la vendetta, perché era stufa di subire i colpi biechi della vita, era stufa degli dei e stufa del continuo tentativo di emulare grandi eroi pieni di buoni propositi e principi quando era chiaro che di queste decantate qualità non ne possedeva nemmeno una. Con tutta la buona volontà non era forse adesso più sola di quanto lo era prima? La pietra stessa che stringeva nel pugno era un simulacro di rimpianti e occasioni perdute.
Strinse maggiormente la pietra e alzò il viso verso l’unica consolazione che le era rimasta. A quelle altezze la magia rispondeva più in fretta ed era uno dei motivi per cui si fermava volentieri per lunghi periodi tra le vette montane. Il suo elemento era una trama che sembrava attraversare invisibile e leggera ogni cosa: dall’erba che si piegava sui versanti, alle nuvole che passavano incuranti travolgendo ora l’orda dirette ad occidente. La Signora dei Fulmini non si riteneva mai in trappola anche se l’evidenza suggeriva il contrario ed a ragione, il solo fatto che era ancora viva gliene dava ma nella sua irruenza aveva un difetto spesso tragico, quello di non pensare al dopo.
Nel momento in cui la barriera svanì sicuramente non pensava al fatidico dopo, era pronta ad attaccare con quella forza che aveva osato per sfidare Orion ribellandosi al suo tentativo di sottometterla. Stava disegnando i segni nell’aria che avrebbero fatto la felicità del Teocrate forse per la prima volta, quando un gorgoglio e un tonfo le fermarono la mano. Il Minotauro era caduto morto ai suoi piedi.
“Credo che tu abbia bisogno di me … e soprattutto devi ancora spiegarmi il tuo concetto di amore”
“Cosa?” domandò Ailis frastornata dall’apparizione dell’apprendista. Non gli aveva detto di sorvegliare Ivar? Da quando in qua Varoquax disobbediva? Bel momento aveva scelto per darle soddisfazione. Le domande dovevano attendere, gli uomini si ripresero in fretta dalla sorpresa e fu loro subito addosso. Ailis afferrò Varoquax per un braccio tirandoselo vicino facendo vorticare l’aria loro intorno per tenere distanti gli assalitori. “Cosa ci fai qui? Hai deciso di farti ammazzare?” chiese in un ruggito sommesso mentre le sue priorità cambiavano con la rapidità del vento. Si guardò intorno e forse lo faceva per la prima volta da quando era scesa nel canalone, la presenza dell’apprendista gli imponeva di farlo “Rivestiti di specchi e crea un diversivo” disse rapidamente ben sapendo che rimanere fermi era il vero suicidio “Torre in settima traversa” spiegò meglio in quello che ormai era diventato il loro gergo.
Il cerchio di vento che isolava i maghi produsse un suono sinistro e si disperse permettendo a Varoquax di allontanarsi. Ailis aveva ogni muscolo del corpo pronto a scattare ed affrontare nel migliore dei modi l’aggressione che si aspettava. Gli uomini bestia si erano fatti più cauti dopo aver visto il minotauro cadere a terra morto, con ogni probabilità non avevano visto lo stiletto di Varoquax. Era stato talmente rapido da essere scambiato per qualche divinità ed ora che era nuovamente sparito, alcuni si guardavano intorno per la paura di subire la stessa sorte toccata alla creatura che credevano invincibile fino a quel momento.
La maga aveva già combattuto contro molti, il Teocrate l’aveva fatta allenare contro infime tribù oltre i confini di Kromdar insediamenti privi di una vera e propria civiltà con il solo scopo di esercitarsi. Questi non erano così diversi ma erano molti di più.
Diversamente dagli altri maghi, Ailis aveva un solo obbiettivo in battaglia; quello di raggiungere il centro dello scontro nonostante tutto e porvi fine. Più facile a dirsi che a farsi. Lei non aveva mai desiderato mettere in opera quanto aveva imparato, era quel passo che l’avrebbe avvicinata al dio di suo padre e che non voleva fare. Non avrebbe mai ceduto al volere di Akethis. Ne era così convinta che in quel momento il pensiero di volerlo in effetti fare non le passava nemmeno per la testa, era un controsenso creato dall’odio profondo che provava verso quelle creature blasfeme che la circondavano. Se loro non esistevano Ashram non si sarebbe spinto oltre le sue possibilità. Chi le impediva di essere giudice e carnefice?
Quel momento di perplessità da parte del nemico durò una manciata di secondi. Ailis percepì un movimento dietro alle spalle e si mosse rapida sulla destra, la spada la mancò di un pollice conficcandosi nel terreno. Doveva trovare una posizione che la copriva su un lato e attendere che Varoquax raggiungesse la posizione giusta per diventare a sua insaputa complice.
Chiamò il suo elemento accecando e schiantando a terra quanti le intralciavano la strada mentre correva verso la parete rocciosa.
L’apprendista facendo seguito alle parole della Maestra tornò a mascherarsi. Muoversi nell’illusione era come nuotare, spostarsi nell’acqua. Ogni passo doveva essere misurato in quella bolgia brulicante e se tutte quelle creature non fossero realmente state in preda ad un insensata frenesia si sarebbero accorti di lui ben prima. Al primo tocco involontario o al primo grugnito mal replicato. La magia poteva ingannare gli occhi e le orecchie, ma uno scontro diretto con uno di quei minotauri avrebbe svelato l’inconsistenza di quell’inganno.
Darle tempo? La faceva facile la Signora dei Fulmini e lui già malediceva il suo dannato senso di fedeltà. Doveva tornarsene dalla Regina e dirle che Ailis aveva preferito una morte gloriosa in nome dell’amore… si fermò. Quel pensiero fece vibrare l’illusione che lo ricopriva, ma non per la distrazione o la fatica, bensì per una risata che a stento riuscì a contenere.
Fu certo che la follia l’avesse travolto se in quel momento riusciva a ridere.
Ridere.
Fu un lampo, un guizzo inaspettato.
Varoquax si spostò in mezzo a quella massa rapidamente guagagnado una posizione defilata e iniziò ad intrecciare i fili del proprio potere.
Scelse un paio di creature piuttosto piccole e, in confronto alle altre, ridicole e innocue e su di loro riversò la propria volontà.
Abbracciò le loro menti idiote annullandole, non ci volle poi molto, trovandole piuttosto vuote se non per i bisogni più elementari, mosse da istinti animali più che da pensieri consapevoli.
Le costrinse a importunare i loro commilitoni con spinte, morsi e scherzi idioti. Le fece piroettare come giullari e da lì a poco si scatenò una piccola zuffa. Poi una rissa e più belve venivano coinvolte e più l’apprendista ne invadeva le menti, balzando da una all’altra, mai più di un paio alla volta, costringendole e gesti sempre più audaci e pericolosi.
Così, se da un lato ma brulicante massa di uomini bestia desiderava cacciare Ailis e vederne il sangue, dall’altra l’insensato richiamo della violenza agitava esseri che non distinguevano tra amici e nemici, ma solo tra ciò che viveva e ciò che poteva esser ucciso.
Diligente, dotato e prezioso apprendista. Varoquax creò un piacevole caos seminando perplessità e confusione. Ero quello che desiderava.
Tracciò i segni di potere con maggior sicurezza sentendoli gridare nella mente come creature vive, malvage e pronte a ridurla in cenere. La sensazione di terrore la colpì come tutte le volte ma ora sapeva che era l’istinto di conservazione a trarla in inganno. Compì un lungo respiro e si arrese a quelle energie che non le appartenevano ma le venivano date in prestito per il proprio diletto. Le sentì scorrere dentro, evidenziando ogni sentimento che nascondeva, ogni dolore e ogni attimo di gioia; li provava tutti insieme in un accavallarsi di immagini  che sembravano annunciarle il trapasso. Morire non era un eventualità remota. Se non avesse avuto un tale ego e la convinzione feroce di quello che voleva, probabilmente le energie che aveva chiamato in causa l’avrebbero annientata.
Ringhiò e reagì a quel turbinio che spazzava letteralmente il fondo del canalone intorno a lei e compì quel passo che aveva giurato di non fare mai più. Durò un attimo, il tempo che impiega il fulmine a schiantarsi sulla terra, nel raggio di cento metri gli uomini bestia caddero in ginocchio portandosi le mani alle tempie o alla gola. Un’enorme pressione prese a schiacciarli spremendoli come arance e cominciarono a cadere nel proprio sangue uno ad uno. La Signora dei Fulmini guardò oltre i caduti rigirando la pietra rossa nella mano. La rabbia era troppa per accontentarsi e si inginocchiò posando il palmo della mano vuota a terra riversando l’energia datale in prestito per restituirla ai corpi che la circondavano. Il cadavere più prossimo a lei mosse un braccio ed un altro gridò di disperazione, o almeno era quello che le sembrava di sentire. Era lei a gridare invece, perché l’incantesimo la stava consumando causandole una sofferenza tale da toglierle il senno. Una cappa di gelo la avvolse. L’unico fulcro caldo che sentiva era stretto nel palmo della mano.
Aldila del tempo e dello spazio la coscenza galleggiava in un mare di nulla. Frammentata, carne e ossa disperse in atomi in una prigione sconfinata. A poco a poco i contorni divennero chiari, l’orizzonte non aveva ne sopra ne sotto, ne inizio e fine. Cieli di tonalita’ infuocate segnavano il limite di quello spazio, come se quel mondo fosse racchiuso da un’unica barriera di vetro opaco. La coscenza riusci’ solo per un momento a percepire “lei”, e la chiamo’. Ma non aveva una vera voce, non ancora. Era solamente pura materia ed energia primeva.
La terra la consumava più rapidamente di quanto le era accaduto fin ora. Nemmeno se ne rendeva conto ma qualcosa, o qualcuno, la usava e non era un dio e nemmeno il maestro. Con il senno di poi doveva aspettarselo. Esistono incantesimi più insidiosi di un glifo sulla pelle ed erano quelli che non si sa di avere.
Lontana dalla verità e lontana dalla vita stessa, cadde in ginocchio in una resa che non era stata lei a decidere finchè qualcosa di diverso si fece largo tra le ombre della sua mente scacciandole. La fonte di quella energia era lì, nel palmo della mano.
Con uno sforzo sovraumano riuscì a separare il proprio volere da quello alieno che la voleva nella terra e perse i sensi priva di forze.

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